Antonio De Lisa- Segni e simboli di una moderna cerimonia sufi a Istanbul

Il semà è la pace per l’anima dei vivi,
e chi conosce ciò raggiunge la pace dell’anima.
Jalāl al-Dīn Muḥammad Rūmī

Scopo della ricerca

In questo articolo descrivo una cerimonia sufi osservata e registrata personalmente a Istanbul. L’origine di questo interesse consiste in alcuni aspetti dell’esoterismo islamico che ho potuto conoscere in un precedente viaggio a Konya. Esso si inserisce in una ricerca sulla semiotica della religione in corso da qualche tempo. Nel caso specifico, la ricerca riguarda i rapporti tra misticismo islamico e tradizione sunnita. Fin dall’inizio della storia musulmana queste due tendenze non hanno avuto sempre rapporti lineari. I dottori della legge islamica, gli ulama’, hanno guardato al misticismo islamico con un misto di allarme e diffidenza. Si riteneva che i sufi andassero troppo oltre il dettato coranico, a causa dei rituali avvolti in un alone di segretezza, che per di più sfociavano nella danza e della musica. “I musulmani estranei od ostili alla mistica naturalmente dichiareranno spesso che il sufismo, taṣawwuf, non può a loro avviso essere islamico, perché la la parola o le sue lettere radicali non sono citate nel Corano; sarebbe quindi un deprecabile tentativo umano di avvicinarsi a Dio, che ha portato a usanze che non avrebbero nulla in comune con l’autentico e rigoroso islam. Questa opinione domina soprattutto nell’Arabia Saudita, ma anche nei gruppi fondamentalistic dal Nord Africa al Pakistan”[1]. Dal canto loro i teorici del sufismo hanno sempre sottolineato la loro fedeltà a Maometto e al Corano.

Il concetto e le basi teoriche

“Il termine ‘sufismo’ deriva, etimologicamente, da ṣūf, ‘lana’, e rimanda alla veste di lana degli asceti, anche se si è cercato di far discendere la parola dal greco sophia, ‘sapienza’ o dall’arabo al-Ṣafāʾ, ‘purezza’; alcuni tra i primi esegeti supposero anche che i sufi fossero in certo senso i successori dell’ahl al- ṣuffa, la ‘gente dell’atrio’, coloro che vivevano, devoti e modesti, nella corte del Profeta” [2].

Senza addentrarci troppo nella complicata genealogia dei maestri sufi, prenderemo in considerazione solo alcune figure fondamentali. Il primo è al-Ghazali (m. 1111), autore dell’ opera al-Munqidh min al-dalal (il salvatore dall’errore).

“Anche al-Gazali, come i filosofi che lo hanno preceduto, distingue la conoscenza ispirata, di tipo intuitivo, da quella filosofica, acquisita gradualmente, con metodo razionale, a partire dalla percezione. Sede della conoscenza intellettiva è l’anima, che è, al contempo, il luogo in cui Dio ha depositato la sua immagine. Dunque, dall’anima, l’uomo accede sia alla conoscenza del mondo sensibile (mulk, dominio), attraverso la ragione, sia a quella del mondo invisibile (malaqut, regno), attraverso un percorso ascetico che conduce all’estasi. Le conoscenze acquisite per questa via, caratterizzate da quella particolare chiarezza che al-Gazali non aveva trovato nella filosofia, sono inesprimibili razionalmente e indescrivibili linguisticamente. Su questo aspetto egli rivolge una critica alla tradizione sufi che, cercando di rappresentare con parole stati inesprimibili, ricadrebbe in forme di panteismo. Creato a immagine di Dio, l’uomo non può che essere dotato di una volontà che regola il suo agire. In questo senso al-Gazali, pur ritenendo che tutto ciò che accade proviene in ultima istanza da Dio, accoglie dalla tradizione mu‘tazilita una certa forma di libertà nell’agire umano” [3]. 

Altra figura importante è Ibn Arabi, che diede enorme peso alla sfera mistica, in contrasto con le posizioni razionalistiche maturate da Averroè (e destinate a non avere seguito nel mondo musulmano): nelle sue numerose opere – soprattutto in Le gemme della sapienza – egli insiste sull’unità dell’essere. Dio si moltiplica, attraverso i suoi attributi, nella creazione, ma il mondo sensibile è solamente un’ombra di esso. La natura è da ibn Arabi definita come il “respiro del Misericordioso“. L’uomo occupa una posizione centrale nel creato e i profeti sono espressioni della stessa realtà divina. Il fine dell’uomo consiste nell’unirsi misticamente a Dio nell’amore. Ibn Arabi fu tra tra i più grandi teorizzatori della waḥdat al-wujūd o “unicità dell’Essere”.

Il sufismo fra agiografia e letteratura

Un ultimo sguardo generale al sufismo prima di passare alla descrizione della cerimonia. Il Sufismo ha prodotto nei secoli una letteratura notevole, elaborata principalmente nell’ambito della letteratura araba e della letteratura persiana, ma ha trovato espressione anche in molte altre lingue (turche, indiane, maleo-indonesiane ecc.). Tra i generi coltivati si annoverano: i libri devozionali (preghiere, meditazione, esercizi spirituali ecc.); i testi agiografici, contenenti le biografie e le sentenze dei sufi più noti; i testi che illustrano le dimore o stazioni della via spirituale; infine, i trattati teorici di vario argomento, spesso di natura apologetica. Un’altra tipica espressione del Sufismo è nella letteratura in versi che annovera poeti di prima grandezza sia di espressione araba (Ibn al-Farid, Ibn ‘Arabi) che persiana (Farid al-Din al-Attar, Rumi, Hafez, Gohar Shahi).

Jalāl al-Dīn Muḥammad Rūmī e la confraternita Mevleviyye

La cerimonia di cui parleremo è una caratteristica della confraternita islamica turca chiamata Mevleviyye (Mawlawiyya), così chiamata da Mawlānā (‘nostro signore’, in espressione turca Mevlānā) Jalāl al-Dīn Muḥammad Rūmī (XIII sec.) meglio conosciuta come la confraternita dei Dervisci rotanti, fondata a Konya .

Rūmī aveva incontrato Ibn Arabi a Damasco e questo incontro costituì un avvenimento importante della sua vita, dopo quello costituito dall’incontro, nel 1244, con il personaggio noto come Shams Tabrizi (“il sole di Tabrīz”). Shams Tabrizi era un profondo studioso delle scienze teologiche e giuridiche islamiche, particolarmente sapiente nei riguardi della scuola di Shāfiʿī, lo sciafeismo. Il loro legame fu tanto stretto da destare un notevole scandalo e da portare alla scomparsa di Shams in misteriose condizioni. In seguito alla morte dell’amato maestro, Jalāl al-Dīn ebbe un momento di particolare capacità creativa che lo portò a comporre una raccolta di poesie comprendenti ben trentamila versi. Più avanti negli anni compose un’altra raccolta di componimenti poetici suddivisa in sei libri e contenente più di 40 000 strofe. Rūmī riuscì a fondere in modo perfetto l’entusiasmo inebriato di Dio di Shams-i Tabrīz con le sottili elucubrazioni e le visioni di Ibn al-‘Arabi. La realtà terrena, sostiene esplicitamente Rūmī, non è che un riflesso della realtà simbolica che è la vera realtà.

Le confraternite sufi anatoliche a Istanbul

Esistono diverse tradizioni sufi, arabe, centro-asiatiche, persiane. Qui prendiamo in considerazione la tradizione persiana-anatolica, che ha origine nell’opera e nell’insegnamento di Rūmī. La caratteristica dell’ordine è di pregare il proprio amore per Allah con la musica e la danza, in un rituale che ha il nome di Semà. La danza è un movimento vorticoso in gruppo, che rappresenta un viaggio mistico di ascesa spirituale dell’uomo attraverso la mente e l’amore per il “perfetto”. Girando verso la verità, il seguace del gruppo ascende verso l’amore, oltrepassando il Mondo e il Nulla. Dopo l’ascesi, si ritorna nel mondo comune, per comunicare la propria esperienza, concludendo la danza.. Per osservare un’autentica cerimonia sufi a Istanbul ho preso contatto con il centro culturale Silivrikapı Mevlana di Istanbul [4].

Silivrikapı Mevlana di Istanbul ( Küçük Saray Meydanı Cd. Şehremini Mah. 21/A, Fatih). Qui l’associazione EMAV organizza ogni giovedì dalle 21 alle 22 e 30 una seduta di preghiera, di musica e di danza dei dervisci rotanti.

Le confraternite musulmane continuano a rappresentare, nella Turchia contemporanea, una importante forza sociale, culturale e politica. Lo spirito di confraternita è un elemento dominante dell’identità ottomana e dura da otto secoli, senza soluzione di continuità. A Istanbul la presenza sufi è testimoniata da sale cerimoniali e musei.

Il centro culturale Silivrikapı Mevlana è stato fondato da Hasan Çıkar Dede. All’inizio dell’incontro viene proiettato un lungo documentario in cui Hasan spiega gli elementi fondamentali della sua dottrina. Nei paesi di cultura islamica le assemblee di preghiera si tengono nella sera del giovedì, il giorno prima del venerdì di riposo. Alcune comunità sono molto chiuse e richiedono una sorta di iniziazione per accogliere gli aspiranti, altre sono estremamente aperte e cordiali, alla luce del giorno, ed accettano anche ospiti stranieri. Il centro Silivrikapi appartiene a questa seconda categoria, rendendomi possibile la ricerca sul campo.

La litania

La cerimonia dei dervisci consiste in una preghiera/litania, seguita dal rituale Samāʿ (in turco, da ora in poi: Semà). Samāʿ significa ascolto in arabo e persiano e indicava originariamente una pratica rituale di ascolto della lettura del Corano, diffusasi nei circoli sufi di Baghdad a partire dal III sec. dell’Egira (IX sec.d.C.). Ben presto si affiancò a quella del testo sacro, la lettura di componimenti poetici di genere determinato (come il ghazal o la qasida), accompagnati da specifici repertori musicali, connessi con particolari strumenti (in ambito turco, in primo luogo il ney), e dalla danza.

La danza del Semà è conosciuta in Europa anche come la danza dei dervisci rotanti, tuttavia non tutte le forme di Semà prevedono questo tipo di movimento. Nella tradizione sufi mevlevi, il Semà rappresenta un viaggio mistico di ascesa spirituale attraverso la mente e amore per “il Perfetto”. In questo viaggio il danzatore simbolicamente si rivolge alla verità, accresce in amore, abbandona il proprio ego, trova la verità e giunge al “Perfetto”; quindi ritorna dal viaggio mistico con una maturità maggiore, così da amare ed essere di servizio per tutto il creato, senza discriminazioni di fede, razza, classi e nazioni.

Comincia dunque il cantore, a cui si aggrega i coro dei fedeli Il nome di Allah viene recitato come un mantra per perdersi totalmente in lui. Rumi diceva che non serve aggiungere altro al nome di Dio, dato che Dio è l’unico obiettivo raggiungibile. Il sema è sempre accompagnato dalla musica. Il gruppo di musicisti, detto mëtrëp, è formato dal Neyzen (il Ney è un flauto verticale), il Kudümzen (tamburo), il Naathan (il cantore dell’inno di lode a Dio) e gli Ayinhan (i cantori).

l gruppo di musicisti, detto mëtrëp, è formato dal Neyzen (il Ney è un flauto verticale), il Kudümzen (tamburo), il Naathan (il cantore dell’inno di lode a Dio) e gli Ayinhan (i cantori).

Partecipano al rito da un lato un gruppo di musici e cantanti (mëtrëp), dall’altro il Maestro (shaykh della Mevlevihane, in funzione di qutub, “polo”), il capo dei danzatori (semazen basë) e i danzatori. Tutti hanno un abito bianco sopra il quale portano un mantello nero.

L’invocazione reiterata del nome di Dio viene chiamata dhikr. Il nome di Dio viene invocato un gran numero di volte (quante dipende dalla scuola, ma il numero va da circa 300 fino anche a 70000). Il Maestro, detto Seyh, tiene il conto con un rosario.

Il Maestro, detto Seyh, tiene il conto con un rosario.

Semiotica musicale del Sema

La cerimonia è divisa in varie fasi. Il rito inizia con un nait (o naatNaat âlSherìf, inno di lode al Profeta), o con la recitazione del wird che comprende i dieci passi più importanti del Corano (Âshr  âlSherîf). Questa eulogia è in pari tempo una lode a tutti i Profeti e a Dio che li ha creati. Segue una introduzione (taksim) con improvvisazione di flauto (ney). Un suono di tamburi – seconda fase – simbolizza la creazione del mondo (Corano, 36ª81-82); e poi – terza fase – la dolce melodia di un ney, col suo suono sensibile e delicato rappresenta il soffio divino da cui tutte le creature traggono vita. Al termine dell’invocazione, il suono del tamburo rappresenta la creazione. Segue il Ney che rappresenta il soffio divino. A questo punto entrano i dervisci.

Entrata nello spazio rituale (semahane)

Al termine della litania comincia il rituale Semà vero e proprio. La pelle di montone rosso (Seyh Postu) rappresenta l’ingresso nella semahane, il luogo adibito al rituale Semà, e rappresenta la via per giungere alla verità e all’unione con Dio. Solo il Seyh può calpestare la pelle.

Nel libretto di sala dedicata a Hasan Dede, “Shadowless Human. Conversation with Hasan Dede on being virtuous human” si legge che:

“La pelle di pecora cerimoniale rossa usata 700 anni fa dall’Eccelso Mevlana passò ai suoi successori e discendenti dopo la sua riunione con il Divino. Questa pelle di pecora cerimoniale spiritualmente significativa, usata personalmente da Mevlana, è passata di mano in mano fino ad oggi. Negli ultimi 100 anni questa pelle di pecora è stata custodita dal discendente dell’Eccelso Mevlana, Bakir Celebi, e poi è stata consegnata a Celalettin Celebi. Dopo Celal Celebi, Selman Dede, che ha ricoperto la posizione formale di capo delle cerimonie a Konya, ha conservato la pelle di pecora per 30 anni; nel 1993, seguendo una direttiva spirituale, ha passato questa pelle di pecora spiritualmente ricca e significativa ad Hasan Çıkar. E oggi, come rappresentante spirituale dell’Eccelso Mevlana, Hasan Çıkar serve con questa pelle di pecora nelle Cerimonie Sema” [5].

L’entrata dei dervisci

«Nel simbolismo del rituale Semà, il cappello di pelo di cammello del semazen (sikke) rappresenta la pietra tombale dell’ego; la sua ampia gonna bianca (tennure) rappresenta il sudario dell’ego. Togliendosi il mantello nero (hırka), rinasce spiritualmente alla verità. All’inizio del Semà, tenendo le braccia incrociate, il semazen sembra rappresentare il numero uno, testimoniando così l’unità del dio. Mentre gira, le sue braccia sono aperte: il suo braccio destro è rivolto al cielo, pronto a ricevere la beneficenza di Dio; la sua mano sinistra, sulla quale sono fissi i suoi occhi, è rivolta verso la terra. Il semazen trasmette il dono spirituale di Dio a coloro che stanno assistendo al Semà. Ruotando da destra a sinistra intorno al cuore, il semazen abbraccia con amore tutta l’umanità. L’essere umano è stato creato con amore per amare. Rumi dice: “Tutti gli amori sono un ponte verso l’amore divino. Eppure chi non l’ha assaggiato non lo sa!”».

La vestizione dei danzatori ubbidisce a una precisa simbologia. Il mantello nero é simbolo della tomba, dell’ignoranza e della materia, marcato dal sikke (il copricapo) che indica la pietra tombale.

Il Seyh si distingue dagli altri dervisci e il cui simbolo è il sikke con il turbante. Egli rappresenta Mevlana Rumi per discendenza diretta, ne è il segno vivente.

I Dervisci percorrono per tre volte in senso antiorario il perimetro, così come si svolge la circumambulazione della Ka`ba. I tre giri simboleggiano rispettivamente la creazione degli essere inanimati, delle piante e degli animali. Dio parlò ad ognuna delle sue creature, ma di quelle finora create nessuno gli rispose. Poi si fermano su un lato lungo e ha luogo, con un lieve inchino, lo scambio reciproco di saluti. Ciò simboleggia il saluto che tutte le anime nascoste nelle forme e nei corpi si scambiano in segno di mutua fratellanza. Alla fine i danzatori depongono il mantello nero e, in piedi (simbolo dell’alef, prima lettera dell’alfabeto arabo) rimangono un attimo con le braccia incrociate e le mani sulle spalle (nell’atteggiamento che aveva l’angelo Gabriele quando si rivolgeva al Profeta Muhammad prima di ogni discesa del Corano, e simbolo dell’Unità divina).

Ha inizio allora la fase più suggestiva, divisa in quattro parti, dette “saluti” (salâm). A uno a uno i danzatori si dirigono verso il maestro, gli baciano la mano, vengono da lui baciati sul bordo del copricapo di feltro, cominciano a roteare su se stessi e – dopo aver allargato le braccia – sempre roteando su se stessi iniziano a girare attorno alla sala (devri veledi), la mano destra volta al cielo per ricevere i doni di Dio, la mano sinistra volta alla terra per dispensare a tutti i presenti i doni ricevuti da Dio. Così girano tutti da destra a sinistra, in un’ampia vorticosa immagine dell’Essere, mentre il capo dei danzatori passa lentamente fra loro.

Durante il circolo i semazen si salutano a vicenda, consapevoli che il centro della verità divina risiede nel cuore di ciascuno.

Il saluto reciproco dei semazen

Al termine del terzo giro i dervisci tolgono il mantello nero, lasciando scoperta la tunica bianca: il tennure, simbolo del distacco dall’ego. Si posizionano quindi con le mani incrociate sulle spalle per somigliare all’alef (ا), la prima lettera dell’alfabeto arabo e iniziale di Allah.

La posizione dell’alef

Al suono della musica i semazen cominciano a girare intorno. Al centro i dervisci ruotano su loro stessi, mentre quelli attorno girano con gesti diversi per ognuna delle quattro fasi della Semà. La prima fase, più raccolta, consiste nella contemplazione del creato e nella presa di coscienza di Dio. É la fase della fede.

Il secondo ciclo raggiunge il raggiungimento della consapevolezza e la percezione della potenza di Dio attraverso lo splendore della sua creazione

I dervisci girano sul piede sinistro, in cerchio, la mano destra alzata verso il cielo per ricevere la grazia di Dio, e quella sinistra volta alla terra per distribuire la grazia di Dio agli esseri umani.

Nel terzo ciclo è l’estasi, il superamento della realtà e il raggiungimento di Dio.

Il quarto ciclo rappresenta la completa unione con Dio e quindi l’eliminazione della propria persona individuale

Anche il Seyh entra nella cerimonia, mentre attorno a lui tutti i Dervisci ruotano su loro stessi. A questo punto Il Seyh sbottona il colletto come simbolo di apertura del suo cuore verso tutti.

Con il suono del Ney termina il viaggio mistico e la lettura del Corano termina la cerimonia. Una preghiera di benedizione e il prolungato Hūūū (‘Egli’) costituiscono la conclusione. Il viaggio deve partire dalla coscienza terrena per arrivare a Dio e da lì ritornare alla terra.

l sufi, a qualsiasi Confraternita appartenga, compie un cammino evolutivo declinato in sette tappe; ognuna rappresentata da un profeta. Per l’elaborazione d’ogni tappa sono presenti sette simboli, la cui penetrazione aiuta il cammino. Essi sono: suono, luce, numero, lettera, parola, simbolo, ritmo e armonia. Nel Semà, in cui si uniscono musica, canto, poesia, pensiero, movimento, luce e colore, troviamo così espressi e presenti tutti e sette questi simboli, in una completezza che trasupera il solo pensiero-azione della preghiera musulmana, e rende così altamente suggestivo e globale questo particolare dhikr dei sufi mevlevi.

Alcuni studiosi hanno voluto considerare il sufismo come una commistione fra neo-platonismo, cristianesimo e islam. Studiando la bibliografia primaria e secondaria e assistendo alle loro cerimonie, se si possono rintracciare lontane ascendenza neo-platonico, non meno forte è l’impronta musulmana e sunnita. Altri hanno sottolineato la particolare dimensione mistica del fenomeno nell’ambito di una tradizione legalistica. Il sufismo risponde a una particolare esigenza non soddisfatta in ambito sunnita.

“Non il sapere intellettuale è la meta dei sufi, ma l’esperienza esistenziale, e anche se proprio loro, che continuamente rammentarono a se stessi l’inutilità dei libri per esperire l’estremo mistero, hanno scrittto innumerevoli libri, spesso non molto più appassionanti dei cavillosi trattati giuridici da essi disprezzati e di quelli teologici, sapevano tuttavia che non le lettere nere importavano, ma il ‘leggere il bianco tra le rifghe’, cioè cogliere il senso interiore delle parole, quale fu trasmesso di generazione in generazione. Questo atteggiamento rende difficile per lo studioso del sufismo su un piano scientifico fare affermazioni corrette, poiché i fatti ‘storici’ noti al ricercatore spesso non svolgono alcuna parte nella tradizione: ciò che vale è il messaggio del sufismo” [6].

NOTE

[1] Cfr. A.Schimmel, Sufismo. Introduzione alla mistica islamica, a cura di Roberto Tottoli, Morcelliana, Brescia 2001, p.34.

[2] Cfr. A.Schimmel, op. cit., ibidem.

[3] Voce al-Ghazali, in Manuale di Filosofia medievale online, Università di Siena.

[4] Silivrikapı Mevlana di Istanbul ( Küçük Saray Meydanı Cd. Şehremini Mah. 21/A, Fatih). Qui l’associazione EMAV organizza ogni giovedì dalle 21 alle 22 e 30 una seduta di preghiera, di musica e di danza dei dervisci rotanti.

[5] Cfr. Shadowless Human. Conversation with Hasan Dede on being virtuous human, compiled by Ozlem Bilge / Gulsen Sucsuzer, s.d.

[6] Cfr. Schimmel, op.cit., pp.26-27.

BIBLIOGRAFIA

Opere di Rūmī

Le opere principali di Rūmī sono due, uno è il diwan o canzoniere, noto come Divan-i Shams-i Tabrīz (“Canzoniere di Shams-i Tabrīz”). L’appellativo è anche esteriormente ben meritato, trattandosi di una raccolta di odi veramente immensa. L’altro è un poema lungo a rime baciate, forma che si chiama comunemente in persiano “Masnavī” e noto appunto come Masnavī-yi Maʿnavī (“Masnavī Spirituale”). È stato definito un Corano in lingua persiana e consiste di più di 26.000 versi doppi, in sei volumi o quaderni (in persiano “daftar”), ciascuno preceduto da una elegante prefazione in prosa in arabo. Un altro libro, dal curioso titolo arabo Fīhi ma fīhi (“C’è quel che c’è”) raccoglie dichiarazioni in prosa del maestro, che coincidono con quanto espresso dalle sue opere poetiche.

Gialal ad-Din Rumi, Poesie mistiche, introduzione, traduzione, antologia critica e note di Alessandro Bausani, Milano: Rizzoli, 1980.

Jalâl ad-Dîn Rûmî, L’Essenza del Reale. Fîhi mâ fîhi (C’è quel che c’è), traduzione dal persiano, introduzione e note di Sergio Foti, revisione di Gianpaolo Fiorentini, Torino, Libreria Editrice Psiche, 1995.

Jalàl àlDìn Rùmì, Mathnawì. Il poema del misticismo universale, 6 voll., traduzione in italiano di Gabriele Mandel Khàn, Bompiani, Milano.

Gialal ad-Din Rumi, Poesie mistiche, Milano, Fabbri Editori, 1997.

Edizioni in inglese e francese

Traduzioni ed edizioni critiche in inglese del Masnavi

The Mesnevi of Mevlānā Jelālu’d-dīn er-Rūmī. Book first, together with some account of the life and acts of the Author, of his ancestors, and of his descendants, illustrated by a selection of characteristic anecdotes, as collected by their historian, Mevlānā Shemsu’d-dīn Ahmed el-Eflākī el-‘Arifī, translated and the poetry versified by James W. Redhouse, London, 1881. Contiene la traduzione in versi del solo primo libro.

Masnaví-i Ma’naví, the Spiritual Couplets of Mauláná Jalálu’d-din Muhammad Rúmí, translated and abridged by E. H. Whinfield, London, 1887; 1989. Selezioni dal poema completo. Testo disponibile on-line in formato html su intratext.com e in formato pdf su omphaloskepsis.com.

The Masnavī by Jalālu’d-din Rūmī. Book II, translated for the first time from the Persian into prose, with a Commentary, by C.E. Wilson, London, 1910. Traduzione in prosa del secondo libro.

The Mathnawí of Jalálu’ddín Rúmí, edited from the oldest manuscripts available, with critical notes, translation and commentary by Reynold A. Nicholson, in 8 volumes, London, Messrs Luzac & Co., 1925–1940. Prima traduzione completa inglese, in prosa, contenente il testo originale in persiano.

Jalal al-Din Rumi, The Masnavi, translated by Jawid Ahmad Mojaddedi, Oxford, Oxford University Press, 2004-2013, 3 voll. (“Oxford World’s Classics”). Prima traduzione inglese in versi dall’edizione dell’originale persiano preparata da Mohammad Estelami con un’introduzione e note. Il primo volume fu vincitore del Premio Lois Roth 2004 per la traduzione di un’opera della letteratura persiana, assegnato dall’American Institute of Iranian Studies. 

Letteratura secondaria essenziale

A. Schimmel, Sufismo. Introduzione alla mistica islamica, a cura di Roberto Tottoli, Morcelliana, Brescia 2001.

Paolo Nicelli, Al-Ghazâlî. Pensatore e maestro spirituale, Milano, Jaca Book, 2013.

Paolo Nicelli, Al-Ghazali: Theologian and Spiritual MasterEncounter, 283 a. (2002) Rom, 35 S. 11089. HAMBURGER, Mechthild (Red. http://www.interrel.de/biblio12.htm – 353k).

Farouk Mitha, Al-Ghazali and the Ismailis: A Debate on Reason and Authority in Medieval Islam, I. B. Tauris, 2002.

Massimo Campanini, Le luci della sapienza, Milano, Mondadori, 2012.

A. Ventura, L’esoterismo islamico, Adelphi, Milano 2017.



Categorie:S00.05.01- Esoterismo islamico, T10.03- Rituali dell'Islam esoterico

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

IASS-AIS

International Association for Semiotic Studies - Association Internationale de Sémiotique

NUOVA STORIA CULTURALE E VISUALE - NEW CULTURAL AND VISUAL HISTORY

STORIA DELLE IDEE E DELLA CULTURA - HISTORY OF IDEAS AND CULTURE

LINGUE STORIA CIVILTA' / LANGUAGES HISTORY CIVILIZATION

LINGUISTICA STORICA E COMPARATA / HISTORICAL AND COMPARATIVE LINGUISTICS

TEATRO E RICERCA - THEATRE AND RESEARCH

Sito di Semiotica del teatro a cura di Lost Orpheus Teatro - Site of Semiotics of the theatre edited by Lost Orpheus Theatre

TIAMAT

ARTE ARCHEOLOGIA ANTROPOLOGIA // ART ARCHAEOLOGY ANTHROPOLOGY

ORIENTALIA

Arte e società - Art and society

SEMIOTIC PAPERS - LETTERE SEMIOTICHE

La ricerca in semiotica e Filosofia del linguaggio - Research in Semiotics and Philosophy of Language

LOST ORPHEUS ENSEMBLE

Da Sonus a Lost Orpheus: Storia, Musiche, Concerti - History, Music, Concerts

Il Nautilus

Viaggio nella blogosfera della V As del Galilei di Potenza

SONUS ONLINE MUSIC JOURNAL

Materiali per la musica moderna e contemporanea - Contemporary Music Materials

WordPress.com News

The latest news on WordPress.com and the WordPress community.

ANTONIO DE LISA OFFICIAL SITE

Arte Teatro Musica Poesia - Art Theatre Music Poetry - Art Théâtre Musique Poésie

IN POESIA - IN POETRY - EN POESIE

LA LETTERATURA COME ORGANISMO - LITERATURE AS AN ORGANISM

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: