Medicina tradizionale indiana

Il termine Âyurveda (‘scienza-sapere della vita’) si riferisce ad una delle raccolte fondamentali degli Upaveda (serie di trattati che completano la scienza sacra espressa nei Veda) e nello stesso tempo definisce più in generale il “sistema” della medicina indiana formato da un complesso di conoscenze, dottrine e pratiche radicate nella tradizione filosofica classica, relative alla protezione ed alla promozione della “salute” e della “qualità” della vita, che affrontano l’uomo nella sua complessità come unione di corpo e spirito, mente ed emozioni, costituzione individuale ed essenza universale.

Nella teoria come nella pratica dell’Āyurveda il benessere di un individuo non può essere separato dalla salute dell’intero universo.

L’uomo è un microcosmo nel quale è rappresentato ogni aspetto, materiale, costitutivo o assoluto del macrocosmo. La sua quiete o la sua inquietudine, la sua salute o la sua malattia, dipendono dall’armonia e dall’equilibrio nel suo “ambiente interno” e nelle relazioni con l’ambiente esterno.

E nello stesso tempo ogni attività dell’individuo che si manifesta attraverso il corpo o la mente, la sua stessa salute o la sua malattia, l’armonia o la disarmonia della sua mente o del suo corpo, influiscono direttamente sull’ambiente, sulla struttura e sull’armonia dell’intero universo.

Secondo la mitologia hindūista l’Āyurveda è un sapere divino, originariamente non destinato agli uomini. Rivelato da Brahmā, fonte e frutto originario della creazione universale, a Prajāpati, padre e signore delle creature, da questi successivamente trasmesso ai gemelli divini Aśvin, luce del giorno e della notte, che a loro volta lo comunicano ad Indra, re degli dèi.

La successiva trasmissione del “sapere” dal re degli dèi agli uomini compone la genealogia di formazione e l’indirizzo delle principali scuole.
I testi fondamentali della tradizione classica sono la Caraka Saṃhitā (II sec d.C.), che illustra i principi filosofici della medicina utilizzando le dottrine del Sāṃkhya e del Vaiśeṣika, il trattato di Suśruta (Suśrutasaṃhitā – IV-VI sec d.C.) che sviluppa in particolare gli aspetti della chirurgia, e quelli di Vāgbhaṭa (Aṣṭāṅgahṛdaya e Aṣṭāṅgasaṃgraha – VII sec d.C.), che armonizza gli insegnamenti dei predecessori.

Secondo la visione tradizionale tutto può concorrere a determinare lo stato di salute, dalla farmacopea di origine vegetale, animale e minerale all’utilizzo delle emozioni e del pensiero, dall’alimentazione al digiuno, dai massaggi alle tecniche corporee, da una giusta predisposizione mentale ad un percorso di consapevolezza.
I processi fisiologici e psicologici nell’individuo sono regolati da tre qualità principali chiamate doṣa (“ciò che causa decadimento – interruzione del ritmo”) che pervadono il corpo e determinano il tipo di costituzione individuale. I tridoṣa (vāta, pitta, kapha) sono in costante relazione reciproca e devono collaborare affinché permanga lo stato di salute. Movimento, metabolismo e stabilità concorrono affinché l’organismo si mantenga sano. Produzione eccessiva e disequilibrio determinano la malattia.

Le otto branche (aṣṭāṅga) principali dell’Āyurveda sono: la medicina interna, la chirurgia, la cura delle malattie della testa e del collo, la tossicologia, la pediatria, i disturbi mentali e la demonologia, le terapie di ringiovanimento, la scienza degli afrodisiaci.

Vengono individuate cinque “famiglie” o tipologie fondamentali di terapie atte a mantenere costantemente in equilibrio la mente ed il corpo, determinanti nello stesso tempo in caso di malattia: l’igiene personale, il controllo dietetico, l’uso di diversi medicinali, il pañcakarman (serie di pratiche purificatorie complesse) e la pratica dello yoga a cui si aggiunge il massaggio āyurvedico.

La cura migliore è ritenuta quella più graduale che rispetti i tempi del corpo e della mente del paziente e possa servire da medicina preventiva.

https://www.museidigenova.it/it/ayurveda-la-medicina-tradizionale-indiana



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