Provate a fare un esperimento, leggete le battute finali del copione de “L’assemblea” al contrario, dall’ultima scena, la XV: la sala, dapprima immersa nel buio, che via via si illumina; i giovani protagonisti, prima distesi a terra a guardare il cielo, che si alzano in piedi; il silenzio, decretato dalla parola FINE, che viene infranto dalle loro voci che dicono: “E ci riusciremo!”, “Possiamo ancora cambiare qualcosa”, “Non può finire così la storia”. Tre affermazioni, un unico progetto, una sola volontà. Essere protagonisti, non solo in un testo teatrale che, dalla “penna” di uno che di scuola ne sa, prende corpo sulla scena, ma di essere protagonisti concretamente, con tutta la sfrontata energia di cui sono capaci. Questo gruppo di ragazzi e di ragazze suscita simpatia; possiamo ritrovare e riconoscere in loro i ragazzi e le ragazze che da insegnanti vediamo seduti fra i banchi di scuola, che da semplici passanti incrociamo nello “struscio” del sabato sera, che da genitori ritroviamo, ciondolanti e indolenti, fra camerette ancora tinteggiate dei colori pastello dell’infanzia e divani in soggiorno presidiati per ore intere…
Li hanno definiti nei modi più svariati: Generazione Z, nativi digitali, Millennials; si sono sentiti dare degli “sdraiati” in un libro, dei “giovani wannabe” in una canzone. Sono sorvegliati speciali dalla famiglia, dalla scuola, dalle istituzioni, sono oggetto di ricerche sociologiche, interpretati come dati che vengono fuori dalle statistiche, i loro gusti e le loro scelte incidono sul mercato. E dunque, chi sono? Cosa pensano? Cosa vogliono?
Riprendiamo l’esperimento, andiamo ancora a ritroso, dalla scena XV saliamo su e arriviamo alla penultima, la XIV: il gruppo vivace e variegato, che riesce a tenere dentro la stessa conversazione in modo convincente il Taoismo e Chat GPT, il Medioriente e i Måneskin, Instagram e l’inquinamento da amianto, commette un errore, un banalissimo refuso, “Chance” al posto di “Change”. Non c’è correttore automatico che possa salvarli, ormai la scritta è lì, si staglia nitida sullo striscione. Non resta altro da fare che rimodulare, mescolare le carte, lasciar correre la creatività e passare al piano B, che risulta insperabilmente anche più efficace del piano A.
I ragazzi e le ragazze de “L’assemblea” il loro messaggio riescono a farlo passare comunque e riescono anche a dire agli adulti, a noi tutti, qualcosa di più di loro, di quello che pensano e di quello che vogliono. Loro vogliono poter sbagliare, vogliono avere la libertà di poter sbagliare e non vogliono correggere i loro errori secondo schemi precostituiti e codificati, vogliono avere la possibilità far venire fuori qualcosa di interessante da quell’errore. I giovani devono poter avere il loro es-odo, nel senso etimologico del termine; devono poter uscire fuori da una strada già segnata, zigzagare alla ricerca di una propria strada che, una volta trovata, imboccheranno e percorreranno con tenacia, perché sarà quella a loro più confacente. Al mondo degli adulti tocca il compito di fornire loro, con onestà intellettuale e con rispetto, gli strumenti adeguati per non perdersi in questo esodo. Dovremmo avere l’intelligenza di dotarli di una mappa di riferimento sufficientemente ampia, ma al tempo stesso corretta, da completare e da arricchire con i loro percorsi e con i confini che toccheranno e dovremmo avere la pazienza, l’interesse e la voglia di ascoltarli, di ascoltare il racconto che ci faranno via via lungo il percorso.
Claudia Romano
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